Barcellona, i social la paura e Seneca

Barcellona. Non sono un sociologo né  un esperto di cose militari e neppure  mediorientali. Per cui non voglio entrare in territori che non mi competono come parlare degli obbiettivi a breve e lungo termine delle strategie che stanno dietro a queste tragedie.Oppure a quanto succede oltre lo stagno chiamato mar Mediterraneo. Oppure ancora analizzare l’uso politico che viene fatto di queste tragedie parlando alla pancia della gente per proprio tornaconto elettorale o di consenso; spesso proponendo soluzioni semplici a problemi complessi, atteggiamento tipico dei movimenti populisti. E i problemi complessi hanno tante sfaccettature a volte confluenti a volte contrastanti, con la necessità, per risolverli, di averne una visione globale che le abbracci tutte.
Ritengo utile e interessante, invece, dare un’occhiata  alle reazioni che Barcellona, al pari di Nizza Parigi e Manchester, inducono in tutti noi. Basterebbe dare una scorsa anche rapida alle migliaia di post sui social per capire che di  fronte a tali tragedie,  siamo quasi sempre in balia di forti emozioni, a volte contrastanti. Sembra che le onde di queste emozioni, quasi sempre burrascose ci travolgano.

C’è la rabbia nei confronti di chi ha spezzato le vite di persone che non avevano alcuna colpa se non quella di vivere in modo profondamente diverso da chi ha compiuto gli attentati.  Per reazione anche noi vorremmo far piazza pulita di tutti quelli che non pensano come noi con un atteggiamento identico e speculare. Allora identifichiamo, paradossalmente come fanno i terroristi, una categoria, i mussulmani, responsabili di tutte le nefandezze; così come gli integralisti identificano nei “crociati” il nemico da abbattere. Si viene così a creare una sorta di corto circuito che non può che esacerbare i contrasti e aumentare il livello dello scontro. Probabilmente facendo il gioco del “nemico”.

Spesso la rabbia è solo espressione di profondo senso di impotenza e di incapacità di incidere sul fenomeno. Allora, vorremmo qualcuno che ci dia l’impressione, falsa, di avere delle soluzioni che in un attimo possa far scomparire il problema e a cui siamo pronti ad affidare interamente la gestione del problema stesso. E’ la frustrazione di chi vede, giustamente, la presenza di una minaccia al proprio benessere e alla propria felicità e non trova alcuna soluzione ad attacchi che ci colpiscono alle spalle quando abbiamo la guardia abbassata.

Può essere interessante ricordare che la rabbia è un’emozione che tende inevitabilmente all’aggressione e all’attacco se non viene in qualche modo metabolizzata e gestita. L’attacco, poi, mira spesso ad anticipare la minaccia come semplificato dal detto “chi mena per primo mena due volte”.  Se attiviamo questa modalità di reazione ci sembra che l’unica soluzione del problema sia l’eliminazione della minaccia attraverso l’eliminazione del “nemico”.

Strettamente legata alla rabbia è, paradossalmente, la paura che tende ad amplificare la percezione del rischio. Mentre la rabbia ci predispone all’attacco, la paura ci predispone alla fuga. Sono le due risposte stereotipate, istintuali che mettiamo in atto davanti ad una minaccia alla nostra integrità o a quello del nostro gruppo di appartenenza. Mentre l’attacco ha un movimento verso l’esterno “contro” la minaccia, la paura è essenzialmente legata alla fuga, al rinchiudersi in sé stessi, e all’allontanarsi dalla minaccia. La paura che ci fa dire “non passo per quella piazza… non si sa mai”, che ci impedisce di continuare la vita, le passioni, il divertimento di cui abbiamo sempre goduto. Si tratta in fondo delle due facce  della stessa medaglia, la percezione di una minaccia. Due risposte completamente differenti che tuttavia potrebbero essere di aiuto proprio a chi ci minaccia.

Il problema è che queste due modalità di reazione sono quasi sempre inconsapevoli, automatiche come abbiamo visto; e in quanto automatiche non c’è in esse alcun barlume di libertà.

Il sistema che permette attraverso centri cerebrali come l’Amigdala di attivare la fuga o l’attacco è un sistema che abbiamo in comune anche con animali, come i rettili, molto  lontani da noi geneticamente. E’ un sistema salvavita, messo a salvaguardia della vita e benessere nostre e della nostra specie. Non sono né buone né cattive, né giuste né sbagliate. E’ il sistema che ci permette di scansarci, fuga, se ci accorgiamo che un camion ci sta per venire addosso o il combattere se vediamo che un cane sta attaccando uno dei nostri figli. Fanno semplicemente parte del nostro sistema nervoso.

Torniamo a Barcellona e a quanto potrebbe capitare a noi in un futuro più o meno lontano. Dai post che ho avuto modo di visionare sembra che le uniche risposte applicabili siano l’attacco e la fuga. Il problema è quando applichiamo queste modalità in modo automatico e inconsapevole ad avvenimenti sociali ci esponiamo al rischio di mettere in atto delle risposte disfunzionali che possono solo peggiorare lo stato delle cose. Falsifichiamo la realtà forzandola ad adattarsi alla risposta che ci è più congeniale.  Ci precludiamo la possibilità di vedere i problemi nella giusta prospettiva, valutare il mosaico solo attraverso poche tessere perdendo di vista tutte le sfaccettature del quadro d’insieme dove, forse, si può trovare in modo insperato la soluzione.

Mi hanno  colpito le interviste di persone rientrate in fretta e furia dalla Catalogna la sera stessa dell’attentato o gli incitamenti all’odio razziale e religioso accettando l’equazione straniero=mussulmano=terrorista. E purtroppo i social fanno da cassa di risonanza aumentandone a dismisura gli effetti, dato che, come ampiamente dimostrato, ci vengono mostrati  i siti che rispecchiano le nostre idee e i nostri convincimenti.

L’unica possibilità è quella interrogarci sulle modalità di risposta che vorremmo mettere in atto, verificare le ragioni che spingono in una certa direzione, fuga o combattimento, sulle conseguenze di quello che vorremmo mettere in atto. Per certi versi abbiamo parti del cervello in comune con i serpenti ma dovremmo riconoscere anche di avere una parte di cervello che abbiamo solo noi. Quella nobile capace di trovare nessi anche dove sembrano non essercene, quella capace di condivisione e di empatia.

Noi non vediamo le cose per come sono ma per come siamo (Anaïs Nin)

Sono più le cose che ci spaventano di quelle che ci minacciano realmente, così finiamo per soffrire più per le nostre paure che per la realtà (Seneca)

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