La Mindfulness è un navigatore intelligente?

“Meglio sapere dove andare e non sapere come arrivarci, piuttosto che sapere come e non sapere dove andare.” (Proverbio, credo, messicano)

Immaginate di essere appena arrivati in una città sconosciuta e di avere un appuntamento in una strada che ovviamente non avete la più piccola idea dove possa essere. Cosa fareste? Accendereste il vostro cellulare, attivereste Google Maps e inserireste l’indirizzo ottenendo nel giro di pochi secondi la strada da percorrere per raggiungere la vostra meta: tutto semplice, facile ed efficace. Tanto più che se sbagliate strada vi corregge subito indicandovene una alternativa. Ora immaginate che, una volta arrivati a destinazione, vi accorgete che l’indirizzo che avete immesso non era quello corretto. Dovete riprogrammare il tutto. L’ideale sarebbe quello di avere un navigatore tanto “intelligente” da essere capace di decidere, oltre che al come, anche il dove.

Nella vita prima o poi  capita di attraversare dei momenti in cui ci rendiamo conto di non essere arrivati all’indirizzo giusto, secondo la metafora che abbiamo presentato. Non abbiamo chiaro dove andare: ci sembra che la direzione che abbiamo preso ci porti solo in un vicolo cieco oppure abbiamo davanti agli occhi solo la nebbia dell’indecisione. Spesso queste idee si accompagnano a senso di insoddisfazione o a veri e propri sintomi somatici.  A queste sensazioni e pensieri reagiamo, spesso, cercando di distrarci: la palestra, il divertimento sfrenato o, nel peggiore dei casi, l’uso del cibo o di sostanze come diversivi.
Tutto questo non ci aiuta certo nella definizione del nostro malessere né tanto meno nella soluzione da cercare. Oppure vorremmo avere, ancora di più, un navigatore “intelligente” che ci dica, pigiando un bottone, “l’indirizzo” giusto.

La mia esperienza personale, e quella che ho visto realizzarsi in tanti che hanno fatto un percorso di Mindfulness o di meditazione, è che queste possono essere una via efficace, non certo le uniche, per trovare la giusta meta da raggiungere: non quella perfetta e valida per tutti , ma quella giusta per me, per la mia storia, per le mie possibilità. Il grande psicologo e filosofo E. Fromm diceva che il compito principale nella vita di un uomo è quello di dare alla luce sé  stesso; cioè creare quelle condizioni che possano permettere la sua massima realizzazione.

Sempre Fromm nel libro “Il codice dell’Anima” sosteneva che dentro ciascuno c’è un “daimon”, una sorta di “personaggio” che continuamente ci ricorda quale è il senso della nostra vita, quello per cui siamo venuti al mondo, suggerendoci i correttivi da apportare.I vari tipi di meditazione che vengono svolti in questi percorsi, basati sulla respirazione, le sensazioni corporee, i pensieri e le emozioni permettono un lavoro in profondità, certo non sempre facile né  privo di fatica, che ci permette di prendere contatto con le nostre profondità, là dove c’è il nostro sé più profondo, dove, per venire all’immagine di Fromm, il daimon ci parla. Questo percorso ha il grande merito di rendere manifesto quel personaggio, l’Ego, che continuamente chiede pretende domanda esige sempre di più, che si crede al centro dell’Universo, invadente detentore di tutti i diritti e di nessun dovere, a cui tutto deve essere assoggettato ricondotto e sottomesso.

Questa presa di contatto, “esame di realtà” direbbero gli psicanalisti, non è molto diversa da quanto altri percorsi hanno messo e mettono in evidenza. Se confrontiamo la mistica cristiana dai Padri del Deserto, tutta la mistica tedesca del 13° secolo (Meister Eckart, Suso, Taulero, etc) i grandi mistici del 16° secolo come S. Giovanni dalla Croce, S.ta Teresa e via via fino ai giorni nostri vediamo che l’obbiettivo è identico: la ricerca della messa in sordina dell’Ego. La famosa frase di Meister Eckart “Divinità aiutami a far scomparire dio”(minuscolo) non è molto diversa, concettualmente, dalla frase “Se incontri il Buddha, uccidilo”. Tutte e due mettono l’accento sulla necessità di far scomparire le rappresentazioni mentali, quasi sempre false e autoreferenziali. Anche il Buddismo, dunque, attraverso il raggiungimento del nibbana (nirvana in sanscrito) come stadio finale della liberazione dal dolore e della sofferenza, pone l’estinzione dell’Ego come meta delle attività meditative. Tanto che la traduzione del temine in lingua pali nibbana, generalmente tradotto con  “illuminazione”, dovrebbe essere più propriamente tradotto con “spegnimento” o “estinzione”, dell’Ego.

In quest’ottica, penso che tutte le pratiche meditative abbiano questo grande punto in comune la riduzione (la scomparsa?) dell’invadenza dell’Io. In un ottica strettamente religiosa per rendere possibile l’incontro con la Divinità; non a caso S. Agostino sosteneva che Dio parla solo nel silenzio interiore, quando tutte le nostre agitazioni mentali si sono acquietate ed è finito quel continuo chiacchiericcio mentale che abita le nostre menti. Proprio il risultato che la meditazione si propone. Il Buddismo non si pone il problema dell’esistenza di Dio, anche se non lo nega. Racconta un aneddoto che un giorno venne chiesto al Buddha se Dio esistesse o meno: la sua risposta fu un leggero sorriso sulle  labbra. L’estinzione o lo spegnimento dell’Io, ottenuto attraverso la realizzazione degli 8 precetti (retta visione, retta intenzione, retta parola, retta azione, retto modo di vivere, retto sforzo,  retta presenza mentale, retta concentrazione), dove la meditazione rappresenta il 7°, è l’obbiettivo di quello che chiamerei “psicologia buddista” per l’estinzione della sofferenza.

Allora, tornando alla domanda di questo post, la mindfulness, in tutte le sue declinazioni e forme può essere può essere un navigatore?

Si ed anche intelligente.

” Ogni via è soltanto una via. Non è un affronto a voi stessi o ad altri abbandonarla se è questo che vi suggerisce il cuore. Ma la decisione di continuare quella strada o di lasciarla, non deve essere provocata dalla paura o dall’ambizione. Osservate attentamente ogni strada e con calma. Provate a percorrerla tutte le voltaiche lo riterrete necessario. Poi rivolgete una domanda a voi stessi e soltanto a voi stessi: “Questa strada ha un cuore?” (Carlos Castaneda)

” Fintanto che si crede che lo scopo della propria vita vada ricercato fuori di sé, vale a dire oltre le nuvole, nel passato o nel futuro, si andrà a cercare fuori da sé stessi il senso dove non può essere trovato. Cercherà soluzioni e risposte dappertutto tranne dove queste sono: sé stesso .” (E. Fromm) 

 

 

 

Condividi l’articolo

0
    0
    I tuoi acquisti
    Il tuo carrello è vuoto