… e quando il cambiamento ci è imposto? Una grande sfida.

In un precedente posto avevo ripreso l’argomento del cambiamento, in particolare quello che noi determiniamo piano piano, giorno per giorno. Cambiamento che può sembrare improvviso ma, come abbiamo visto, spesso è espressione di una nostra azione, a volte inconsapevole. Che dire però di quei cambiamenti, spesso drammatici, di cui siamo semplici vittime; cambiamenti  capaci di stravolgere la nostra vita come il lutto di una persona per noi importante o una malattia invalidante che ci rende incapaci di continuare a svolgere la nostra vita abituale o ancora una diagnosi infausta? Proprio perché non provocati e imprevisti, e spesso drammatici, questo tipo di cambiamento ci sottopone a un grande stress per le conseguenze che avrà sulla nostra vita affettiva, di relazione o professionale. Ogniqualvolta ci troviamo davanti, o forse sarebbe meglio dire dentro, ad una perdita reale o prevista la nostra mente va incontro ad una serie di reazioni che costituiscono delle vere e proprie fasi che la persona si trova ad attraversare.  Sono le  fasi descritte dalla psichiatra Kubler Ross nel suo libro “la morte e il morire”. Sebbene propriamente identificate come le fasi cui, come persone, andiamo incontro quando capiamo che la prospettiva della morte non è una ipotesi remota ma una realtà concreta, diversi studi hanno identificato le stesse fasi quando ci troviamo ad affrontare un avvenimento, come la perdita del lavoro, la rottura di una relazione significativa o, ancora, una malattia che ci impedirà di continuare a volgere le nostre abituali attività, capace di sovvertire le nostre certezza. Queste fasi non vanno viste come tappe obbligate di un processo  ma piuttosto come linee di tendenza in cui una fase si può sovrapporre all’altra o le varie fasi possono avere avere un ordine diverso. Vediamole:

NEGAZIONE: In questa fase la persona non vive nella realtà ma, piuttosto vive in una realtà, potremmo dire, “virtuale” e parallela proprio per l’incapacità di accettare quanto sta succedendo. Se abbiamo ricevuto una lettera di licenziamento, penseremo che l’ufficio del personale ha fatto confusione e che c’è stato uno scambio di persone; se una indagine di laboratorio ci conferma le nostre paure più segrete, avremo la certezza di uno scambio o di errore nella etichettatura delle provette. Questa fase non deve essere vista come negativa ma piuttosto come lo shock normale davanti ad un evento che cambierà completamente la nostra vita rendendola diversa dalle nostre aspettative. Paradossalmente, poi, questa fase permette di rapportarci meglio a tali cambiamenti dato che ci concede il tempo necessario per attivare le strategie per far fronte alla nuova situazione. Più o meno velocemente questo senso di irrealtà tenderà a scolorirsi con la conseguente comparsa alla coscienza di quanto abbiamo negato.

RABBIA: Una volta che cominceremo a lasciarci alle spalle la “realtà virtuale” cominceremo  a dirci “Perché io? ” oppure “La vita non è giusta!”. Oppure, davanti ad una relazione terminata bruscamente e dolorosamente dirci “Con tutto quello che ho fatto per lui/lei!”. Se abbiamo una fede religiosa ci diremo “Dov’è Dio? Perché ha permesso questo?” Spesso queste domande si accompagnano ad un sentimento di rabbia verso se stessi ( “Se avessi portato il mio partner prima dal medico, forse il cancro poteva essere scoperto prima”, oppure “forse avrei potuto investire di più nel mio rapporto con lui/lei” etc) o verso gli altri di cui ci sembra di percepire una distanza siderale. Ci sentiamo assolutamente soli ad affrontare la nuova realtà. Anche questa fase deve essere vista come una risposta normale ad un cambiamento importante come un deserto che dobbiamo inevitabilmente attraversare. Purtroppo la nostra società e, spesso, la nostra educazione ci inducono fin da bambini a negare la rabbia come emozione, impedendoci di manifestarla in quanto ritenuta negativa. Mentre nell’elaborazione del lutto, inteso come perdita, esprimere la rabbia ha un valore positivo dato che, paradossalmente, ci permette di mantenere il contatto con gli altri in un momento in cui ci sentiamo abbandonati e soli. Gli psicoterapeuti, infatti, raccomandano di vivere a fondo la rabbia percepita come momento di accettazione del lutto.

CONTRATTAZIONE: Questa fase si caratterizza per una sorta di contrattazione con Dio, la Realtà o la Vita. Dato che non riusciamo ad accettare quanto ci succede, tentiamo la carta della contrattazione e dello scambio. “Se il mio partner ritorna a vivere con me, allora io mi comporterò in modo perfetto”, oppure ” Se guarisco da questa malattia ti prometto Dio che tornerò in chiesa tutte le domeniche”. È il tentativo estremo di cambiare la realtà: cominciamo a vedere la situazione così com’è ma nello stesso tempo ci affidiamo a qualcosa/Qualcuno per cambiarla.  È uno dei modi per annullare quello che abbiamo davanti, il tentativo spasmodico di ritornare alla situazione precedente, alla nostra abituale normalità.

DEPRESSIONE:  A differenza della rabbia, la depressione è una forma “accettata” nell’elaborazione del lutto. In questa fase ci si sente svuotati, si vive come in una nebbia, niente sembra darci sollievo, né il cibo né gli amici né le comuni attività capaci di darci piacere. La depressione rappresenta proprio quel vuoto che sentiamo nel momento in cui realizziamo che la vita non sarà più come prima, che le certezze su cui abbiamo costruito le nostre vite si sono dissolte. Ci si sente sopraffatti dall’enormità, della “intera catastrofe” dirà Kabat-Zinn, della nostra esperienza di lutto. Anche al di fuori dell’elaborazione del lutto inteso nel senso più ampio, la depressione indica una qualche forma di percezione del vuoto che ci attanaglia.

ACCETTAZIONE: Questa è l’ultima fase del percorso indicato dalla Kubler Ross. È il momento dell’accettazione e direi della pacificazione, in cui prendiamo contatto con quello che ci sta accadendo in modo profondo. Non è il momento in cui diciamo “Mi hanno licenziato, e va bene”, o “Mia moglie è morta, okay” quanto piuttosto quello in cui diciamo “Mi hanno licenziato ma troverò un’altra situazione”  “Mia moglie è morta ma io riuscirò a trovare un nuovo equilibrio pur in presenza di questo grande dolore”. Si rientra, in un certo senso, di nuovo in contatto con la realtà, anche quella più dolorosa. “Abbracciare” la realtà con il dolore relativo, ci permetterà di valutare il cambiamento avvenuto o atteso certo non come una “bella cosa” ma come cosa con cui convivere e in cui trovare un nuovo equilibrio. In questa fase le emozioni si stabilizzano e si comincia a uscire da quella fase di depressione. Inevitabilmente si cominciano a fare nuovi progetti in cui la nuova situazione è lo sfondo su cui si proiettano nuovi scenari. Ricordo un orologiaio abituato a usare le mani in modo molto fine. In un incidente di auto, perse per la lesione di un nervo la capacità di movimenti fini. Alla fine di un percorso psicoterapeutico riuscì a riutilizzare le sue conoscenze creando una vera e propria scuola di orologeria trovando attraverso  un nuovo equilibrio un senso alla sua vita.

Quale che siano la modalità con cui il cambiamento avviene, le sue cause o ancora la nostra reazione ad esso il cambiamento potrà dispiegare i suoi effetti solo nel momento in cui noi ci concediamo la possibilità di abbandonare una realtà´ormai non più percorribile per i motivi più diversi. Il lasciare, l’abbandonare e il distacco hanno molto a che vedere con la possibilità di vivere una vita piena e realizzata.

 

 

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