Noa. Eutanasia? Suicidio? Oppure omicidio come karma?

Ho ripensato in questi giorni alla vicenda di Noa, la ragazza olandese di 17 anni che si è lasciata morire rifiutando cibo e acqua. Il caso è noto: aveva subito  una violenza sessuale a 11 anni, seguita da un’altra aggressione sessuale a 14. Questi episodi rappresentarono un  trauma per lei insuperabile, portandola verso una grave depressione, anoressia con diversi tentativi di suicidio. Aveva anche scritto un libro per cercare di aiutare chi aveva vissuto una esperienza simile alla sua. Era stata ricoverata più volte in ospedale e comunità terapeutiche: un vero calvario durato anni. Alla fine il senso di morte interiore, la depressione, la sofferenza e l’incapacità di vedere una via di uscita l’hanno portata a prendere la decisione terribile che tutti conosciamo e che, come al solito, è stata strumentalizzata da più parti e che dopo pochi giorni è uscita dai radar dei mezzi di comunicazione. Entro personalmente con il rispetto che si deve avere per vicende drammatiche come quella di Noa. Non mi interessa giudicare perché prima di giudicare bisogna conoscere ed io non conoscevo Noa come non conosco la famiglia che si è dovuta confrontare con una tragedia del genere; come d’altra parte non li conosceva nessuno dei tanti che si sono permessi di emettere sentenze. Non mi interessa entrare nel grande fiume delle polemiche, ma vorrei mettere in luce un aspetto che, a mio modo di vedere, non è stato per niente approfondito. Nel titolo parlo di omicidio perché, a mio parere, di questo si tratta. Se, infatti, metto in atto comportamenti, ad esempio una coltellata, che determina lesioni che portano a morte una persona parliamo giustamente di omicidio. Se, come nel caso di Noa, provoco dei traumi psicologici capaci di determinare la scelta di lasciarsi morire non vedo con che termine dovremmo definirlo se non come omicidio. Omicidio forse a distanza di tempo, ma sempre di omicidio si tratta.

Ora, non sappiamo niente degli autori  delle violenze subite dalla ragazza e questo rappresenta l’aspetto, secondo me, trascurato. Non per una curiosità morbosa, quanto perché si potrebbero scoprire aspetti importanti che, sebbene in maniera per fortuna diversa, ci riguardano. Sappiamo molto, apparentemente, della fine ma non sappiamo niente dell’inizio. Ma andiamo per ordine.

La pratica psicologica ci dice che, dietro un adulto abusante spesso un familiare, c’è un bambino abusato e che dietro, oserei dire dentro, una persona violenta c’è spesso un bambino che ha subito dei maltrattamenti. Si viene così a determinare una lunga catena di episodi subiti e agiti, di violenze vissute e provocate che durano per generazioni e generazioni. È come se una maledizione continuasse ad avverarsi da padre in figlio sempre con la stessa modalità da abuso e violenza subiti ad abuso e violenza agiti. Tutto questo non è effetto della mancanza di educazione, anche se questo può esacerbarne gli effetti, o di un ambiente sociale degradato che può peraltro influire. La ricerca scientifica, attraverso gli studi sull’epigenetica, di cui ho già parlato, ha dimostrato che i traumi subiti si iscrivono nel patrimonio genetico dell’individuo e possono disvelare i loro effetti, addirittura, saltando una o più generazioni. È la versione scientifica di quello che gli orientali chiamano karma. Al di là della simbologia indù o buddhista, questo ci ricorda che ogni volta che agiamo con violenza o, più genericamente, in modo egoistico o aggressivo noi determiniamo degli effetti negativi non solo sugli altri ma anche su noi stessi e che questi effetti possono durare per diverse generazioni. È un concetto strettamente legato a quanto le tradizioni spirituali orientali hanno messo in evidenza: la inesistenza di fenomeni assoluti  e, dunque, l’inevitabile interconnessione di noi e gli altri, di noi e il mondo. Noi siamo il portato di tantissime generazioni passate e io adulto sono il risultato di quanto ho ereditato attraverso il patrimonio genetico dai miei avi e delle esperienze, positive e negative, che ho vissuto  fin da lattante per 30, 40, 50 anni. Sembrerebbe una maledizione: non posso farci niente  essendo il portato di “influssi” negativi. Le cose stanno in modo diverso: noi, oltre ad effetto, siamo anche causa e  generatori di effetti sia positivi che negativi. In una sorta di algebra dei comportamenti, azioni virtuose possono diminuire gli effetti negativi e comportamenti egoistici o violenti possono annullare gli effetti positivi di comportamenti altruistici. In questo senso, fatte le debite proporzioni, la vicenda di Noa ci riguarda. Ci riguarda perché ci ricorda che, sebbene senza determinare esiti così drammatici, azioni violente, parole dure e sprezzanti, l’umiliazione degli altri sono capaci di determinare dolore e sofferenza, anche al di là delle nostre intenzioni, che sono tuttavia reali. Qui sta la nostra responsabilità: avere consapevolezza degli effetti delle nostre azioni e che probabilmente non esistono azioni neutre ma tutte inevitabilmente tenderanno a determinare o effetti positivi o effetti negativi.

Pensiamoci la prossima volta che stiamo per scrivere un post particolarmente duro od offensivo: forse non morirà nessuno ma certamente tenderemo a aumentare il tasso di violenza e sofferenza “circolanti”.

 

 

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