Silenzio … un esperimento (1°)

Silenzio. Abbiamo tanti tipi di silenzio, ognuno con le sue caratteristiche: quello agito come forma di comunicazione (vedi gli assiomi sulla comunicazione della scuola di Palo Alto e di Watzlawick) e di cui abbiamo già parlato, quello omertoso e colpevole di chi tace pur essendo a conoscenza di fatti delittuosi. Quello imbarazzato davanti a chi ci fa presente un nostro errore. Quello della paradossale opera musicale  “4:33” di Cage in cui  tutti gli strumenti tacciono e dove gli unici suoni sono rappresentati da quelli occasionali di fondo che gli stessi spettatori producono: un colpo di tosse, lo scricchiolio di una sedia etc e di conseguenza sarà ogni volta diverso perché diversi saranno i suoni. Quello cui siamo costretti quando la natura ci sorprende attraverso un tramonto coinvolgendoci in modo profondo. C’è il silenzio acustico, esterno, quello che ricerchiamo quando il livello del rumore presente nelle nostre vite diventa insopportabile e poi c’è quello interiore estremamente raro. Se infatti osserviamo, in silenzio appunto, la nostra mente vediamo che questa continuamente viaggia dal passato al futuro, da un dolore o rimpianto a un progetto, una scadenza o una preoccupazione del futuro. Per usare le parole di Kabat Zinn non siamo mai dove siamo. Ma di questo parleremo tra un po’ a proposito dell’esperimento che vi voglio proporre.

Il silenzio di cui vorrei parlare è quello interiore, cercato e agito da chi sceglie di sperimentare questa dimensione particolare della propria interiorità. C’è chi ha fatto di questa esperienza, ancora oggi una, anzi, la ragione di vita. Sono monaci cristiani, che attingono l’ispirazione dai Padri del Deserto del 3° – 4° secolo, sono asceti indù che già 3500 anni fa predicavano il silenzio e la rinuncia come pratica religiosa, i monaci buddisti che fanno del “nobile silenzio” una pratica importante. Visto in quest’ottica il silenzio sembrerebbe una caratteristica, direi una necessità, dell’essere umano di tutti i tempi e di tutte le latitudini. Ma non ci sono solo monaci religiosi. Ci sono anche monaci (la traduzione di monaco è solitario) non religiosi; eremiti che hanno scelto di vivere solitari nel silenzio. Solitari perché il silenzio è il compagno inseparabile della solitudine, dell’essere soli con sé stessi. Se vogliamo abitare i regni del silenzio dobbiamo essere soli con noi stessi, apprezzare la nostra compagnia e accettare profondamente, direi in modo compassionevole,  abbracciando quello che siamo, la nostra realtà più profonda; per quanto oscura possa essere. Forse per questo è così difficile stare in silenzio.

Certo la società in cui viviamo non presenta certamente caratteristiche che inducano o favoriscano il silenzio interiore. Bombardati da stimoli continui, sembriamo non averne mai abbastanza. Ricerchiamo quello che, apparentemente, ci sembra  possa tranquillizzare  allontanandoci da quello spazio a volte pauroso rappresentato dal silenzio: la musica, le chiacchiere inutili, il parlare ininterrotto della televisione, la comunicazione urlata becera e volgare dei talk show dove vince chi la spara più grossa e a volume più alto. In questo panorama è inoltre sempre più difficile non essere “accompagnati” da persone che sembra abbiano come programma di vita quello di cancellare, per tutti, qualunque rischio di silenzio. Anche i social “congiurano” in tal senso: sempre connessi, preoccupati di perdere un post o una mail. Anche questa è una forma fastidiosa di rumore che ci impedisce di gustare appieno non solo il silenzio, ma anche e soprattutto lo svolgersi della vita. Eppure, nonostante tutto questo, il silenzio ha un richiamo molto forte, almeno per chi non è completamente dipendente, come un tossicomane, dal rumore.

Ci sono ancora altri aspetti che mi sembrano interessanti ma che rimando al prossimo post.

Dice il famoso filosofo Wittgenstein “su ciò di cui non si può parlare bisogna tacere”. Allora l’esperienza di ciascuno è il solo e unico punto di partenza. Allora ho pensato di proporvi un esperimento: scegliete un posto ed un tempo in cui potete essere sicuri di non essere disturbati. Sedetevi in una posizione che vi permetta di essere sufficientemente comodi senza il rischio di addormentarvi. A questo punto osservate quello che succede con l’atteggiamento dell’esploratore, curiosi e attenti a quanto avviene nella vostra mente. L’atteggiamento corretto è quello del bambino che impara a camminare o il principiante che fa qualcosa per la prima volta. Per qualche momento focalizzate la vostra attenzione sulle sensazioni che provate mentre respirate, inspirazione dopo espirazione, respiro dopo respiro. Può essere il senso di fresco che percepite quando l’aria passa attraverso le narici, oppure il movimento dell’addome che si contrae ad ogni espirazione e si distende ad ogni ispirazione. Osservate quello che compare nel vostro orizzonte sensoriale. Che sia un piccolo fastidio o un pensiero, qualunque cosa sia lo guardate, lo osservate e lo “lasciate andare” come se fosse una nuvola che appare nel cielo e che il vento trascina via oppure il vagone di un treno in corsa e osservate. Osservate quanto emerge dalle profondità del vostro io, lasciate che appaiano senza alcun giudizio, senza alcuna valutazione come buono cattivo oppure disdicevole o santo. Forse per la prima volta potete entrare in terre misteriose ma che vi sono intimamente vicine. C’è un intero mondo che aspetta di essere scoperto e siete voi.

La durata è assolutamente soggettiva ma più dura meglio è. Diceva un famoso monaco “Dovresti meditare 20 minuti al giorno, ma se sei molto occupato allora 40 minuti è il tempo giusto”.

Alla fine di questo periodo di “scoperta e guarigione” scrivetemi le vostre impressioni. Sarebbe interessante se il prossimo post fosse scritto dalle vostre scoperte.

Lo stato attuale del mondo – e in effetti tutto ciò che è vivente – è ammalato. Se fossi un medico e mi venisse chiesto un consiglio, direi: Create il silenzio! Conducete gli uomini al silenzio!
(Sören Kierkegaard -prima metà del 19° sec)

La solitudine è per me una fonte di guarigione che rende la mia vita degna di essere vissuta. Il parlare è spesso un tormento per me e ho bisogno di molti giorni di silenzio per ricoverarmi dalla futilità delle parole.
(Carl Gustav Jung)

PS Se siete interessati a provare una giornata di silenzio e meditazione dopo la metà di Settembre scrivetemi per avere ulteriori info.

 

 

 

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