Mindfulness & Spiritualità

La Mindfulness, per come si è venuta affermando nella cultura occidentale, è essenzialmente laica e l’intuizione di Kabat-Zinn di inserirla nella medicina occidentale con questa caratteristica di laicità è certamente uno dei motivi del suo successo in Occidente. Non va d’altra parte dimenticato che, come già ho avuto modo di sottolineare, le pratiche di consapevolezza e la meditazione sono una caratteristica universale dell’uomo. Ogni cultura e ogni tradizione spirituale l’ha elaborata e declinata in modo originale, ricordando che la Mindfulness nasce nel solco della tradizione buddhista. La retta presenza mentale (Samma sati in Sanscrito), la nostra Mindfulness secondo la terminologia di questa tradizione, è una delle otto vie per raggiungere l’eliminazione della sofferenza insieme a retta parola, retta azione, retta sussistenza, retto sforzo, retta concentrazione, retta visione e retta intenzione. Così una critica che è stata rivolta alla visione occidentale della Mindfulness è quella di essere parziale in quanto non tiene conto delle altre sette. C’è comunque da osservare che anche secondo diversi studiosi e praticanti buddhisti il percorrere preferenzialmente un aspetto, quale che sia, finisce per riverberare anche su gli altri aspetti dell’”Ottuplice Sentiero”. Dunque vorrei proporre alcune suggestioni su Mindfulness e Spiritualità partendo proprio da questa ipotesi.

Nel corso di alcuni colloqui personali ho avuto modo di condividere alcune mie osservazioni con esperti mondiali di Mindfulness come Alberto Chiesa e Peter Malinowski; studiosi caratterizzati da una profonda visione scientifica. È stato interessante costatare l’osservazione comune che la Mindfulness, anche se proposta all’infuori di una visione specifica religiosa, può determinare un’accentuata sensibilità verso tematiche che potremmo definire spirituali. È come se la Mindfulness avesse la capacità di riattivare canali atrofizzati o creare nuove sensibilità prettamente spirituali.

Solo per fare qualche esempio: il prendere coscienza della interconnessione con gli altri, la natura o il mondo, quello che Thich Nhat Hanh, buddhista o Raimon Panikkar cattolico definiscono interessere, può determinare la percezione di una propria responsabilità sociale e/o ecologica. L’acquisire la capacità di osservare e approcciare con amorevolezza i nostri pensieri e le nostre emozioni ci può portare a condividere la stessa gentilezza nei confronti degli altri. Il renderci conto dei meccanismi di attaccamento e di avversione che mettiamo in atto nei confronti di persone, cose o oggetti mentali come ricordi, emozioni e pensieri può indurci a cambiamenti profondi in territori fino a quel momento inesplorati. Il prendere coscienza che la vita è impastata con la sofferenza, nascita vecchiaia malattie e morte solo per citare le più importanti, ci può portare a una visione meno fanciullesca e a cercare un senso religioso o più genericamente spirituale a tale stato di fatto. Il fare quel viaggio che Kabat-Zinn definisce di “scoperta e guarigione” può determinare l’accesso ad aree personali che prima si riteneva di dovere tralasciare.

Nella mia esperienza di istruttore di protocolli basati sulla Mindfulness, ho avuto la possibilità, attraverso diversi ritiri proposti su temi specifici, di vedere l’evoluzione di alcune persone. Ho raccolto la “confessione” di ebrei ritornati in sinagoga o convertiti in altre religioni o cristiani ritornati a praticare i sacramenti o diventati buddhisti. E questo pur proponendo le pratiche di consapevolezza in modo assolutamente laico. Certamente si tratta di osservazioni personali che non potrebbero mai entrare in un articolo scientifico; tuttavia la comune osservazione anche di altri istruttori di livello mondiale evidenzia la validità se non scientifica certamente esistenziale di queste osservazioni.

Prima di rispondere ad alcune domande che sorgono spontanee da tali osservazioni è bene fare chiarezza su alcuni termini: sacro, religione e spiritualità. Non è possibile esaminare in dettaglio il senso di questi termini e rimando all’importante saggio “Neuro psicologia dell’esperienza religiosa” del Prof. Franco Fabbro che consiglio a chi vuole approfondire queste tematiche. Semplificando molto possiamo dire che il termine sacro, la cui prima attestazione è stata rinvenuta su una lapide posta vicino alla cosiddetta tomba di Romolo, deriva dalla radice indoeuropea sak: ”essere conforme al cosmo e alla struttura fondamentale delle cose”. Dunque il termine sacro indica l’esperienza dell’Uomo alla ricerca di un legame con la Realtà Altra. Semplificando molto, in quest’ottica, la spiritualità indicherebbe la relazione “privata” di un individuo con “qualsiasi entità egli consideri il divino”. La religione sarebbe, invece, in relazione con gli aspetti “istituzionali, normativi e sociali” di ricerca di relazione con il divino.

Date le esperienze citate prima, come dicevo, sorgono spontanee alcune domande:

    • Può essere identificata una correlazione tra esperienze spirituali e strutture/aree cerebrali?
    • Cosa avviene a livello cerebrale nel momento in cui la persona accede ad un’esperienza spirituale come la meditazione buddhista o la contemplazione cristiana?
    • Possiamo parlare di “cervello religioso o spirituale”?

Prima di rispondere a queste domande è bene esporre la prospettiva da cui vedrò di rispondere:

    • Un’esperienza così importante e personale come quella spirituale non può essere fatta risalire a un meccanicismo, tale per cui abbassando una leva si ottiene il movimento di una macchina.
    • Non si vuole negare il “mistero” di stare davanti alla Realtà Altra che è, come dice Panikkar, cifra e nucleo fondante del sacro.
    • Non si intende banalizzare un’esperienza così particolare, profonda e personale come l’esperienza spirituale o religiosa, presente in tutte le tradizioni religiose: dallo sciamanesimo al Cristianesimo, dal sufismo alla mistica Buddhista. Piuttosto centrare l’attenzione su quanto sostenuto da un maestro di meditazione e confermato dalle neuroscienze: Tutto parte dalla mente e tutto ritorna alla mente.

Date queste premesse, ecco quanto le neuroscienze ci dicono su spiritualità e cervello. In sintesi:

1. Alcune aree cerebrali sembrano particolarmente coinvolte, attivandosi o disattivandosi, in un complesso circuito coinvolto nella elaborazione dell’esperienza spirituale.

a. Aumento di attività delle aree pre-frontali sinistre e del lobo limbico, con quest’ultimo legato al livello di spiritualità. Questo aumento di attività determinerebbe:

i. Attivazione del sistema parasimpatico e riduzione del sistema simpatico, di cui abbiamo già parlato a proposito dello stress, con successivi:

1. Aumento del senso di benessere e calma

2. Riduzione del cortisolo e degli ormoni dello stress

3. Produzione delle endorfine, morfine endogene, con

a. Riduzione delle emozioni come paura, dolore

b. Aumento di emozioni come gioia e benessere

b. Diminuzione di attività del lobo parietale favorisce

i. L’accesso alla dimensione del sacro

ii. Attraverso una riduzione del sé tridimensionale nello spazio facilita l’esperienza di unione col mondo, gli altri, etc.

c. Queste affermazioni trovano conferma di quanto avviene durante l’effettuazione di un compito spirituale: meditazione o contemplazione cristiana:

i. Aumento del flusso ematico a livello delle aree prefrontali

ii. Diminuzione del flusso ematico a livello delle aree parietali

Con questo ritengo di avere risposto alle prime due domande; per quanto la terza se si può parlare di “cervello spirituale” penso che si possa rispondere affermativamente con una precisazione Per usare un parallelismo, come si dice che l’organo della sessualità non sono banalmente i genitali, ma il cervello; così parimenti possiamo dire che oltre alle aree precedentemente identificate tutto il cervello partecipa all’esperienza religiosa.

Tornerò in altra sede a raccontare la mia esperienza della Mindfulness in ambito religioso. Qui mi premeva condividere gli aspetti spirituali delle partiche di consapevolezza pur nella loro laicità.

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