Quello del titolo sembra solo un numero ma in effetti è qualcosa di molto di più: è il numero del pronunciamento della Corte di Cassazione, sezione lavoro, destinata a fare giurisprudenza e a riscrivere, modificandoli profondamente, i rapporti tra datore di lavoro e dipendente. La storia: un medico ospedaliero, anestesista, muore per infarto dopo un lungo periodo lavorativo caratterizzato da turni eccessivi e da condizioni particolarmente usuranti. Parliamo di condizioni piuttosto “normali” per la stragrande maggioranza degli ospedali caratterizzate da aumento dei carichi lavorativi, mancati riposi e stress cronico da assenza di turnover e da riduzione del personale. Sempre che si accetti per “normale” una definizione matematica o non qualcosa di fisiologico dato che la situazione, in questo senso, normale non è.

Gli eredi hanno fatto causa e il tribunale di merito aveva stabilito il nesso di causalità tra infarto, rivelatosi fatale, e le condizioni particolarmente stressanti in cui il medico si era trovato a lavorare riconoscendo l’equo indennizzo per decesso per causa di lavoro. La Corte d’appello aveva però negato la responsabilità del datore di lavoro negando ci fosse un nesso di causalità tra condizioni lavorative e l’infarto; questo nonostante l’assenza di patologie pregresse, il riconoscimento delle patologiche condizioni di lavoro e la causa di servizio. Il pronunciamento della Corte di Cassazione, in seguito al ricorso presentato dagli eredi, ha ribaltato la sentenza sostenendo che il tribunale avrebbe dovuto investigare sulle responsabilità del datore di lavoro invertendo l’onere della prova: sarebbe spettato all’azienda dimostrare aver fatto tutto il possibile per evitare un evento dannoso di cui non era responsabile.
La Cassazione ha ribadito un principio già emerso in precedenti sentenze: il datore di lavoro ha l’obbligo di tutelare l’integrità fisica e psichica dei dipendenti. Quando si evidenzia un rapporto c tra le condizioni lavorative e un danno alla salute, l’onere della prova spetta all’azienda, che deve dimostrare di aver adottato tutte le misure necessarie per impedire il danno.
Il pronunciamento della Corte di Cassazione, dicevo all’inizio, modifica profondamente i rapporti tra datore di lavoro e dipendente: questo ancor di più in ambiente sanitario dove medici e personale sanitario in generale si trova a vivere in situazioni altamente stressanti: ritmi massacranti, turni infiniti e carichi emotivi intensi. Per le direzioni sanitarie e le aziende ospedaliere, è un bel richiamo: “Guardate che non è sufficiente garantire i turni e le attività cliniche (interventi, ambulatori, sale operatorie, etc). Dovete anche vedere quali sono gli effetti della vostra organizzazione sulla salute del personale, realizzare concrete misure di prevenzione del burnout e dello stress lavoro correlato e soprattutto che esse siano costantemente documentare”.
Questo lo stato dell’arte; c’è però anche un ulteriore aspetto che deve essere sottolineato.
In un precedente articolo di questo sito avevo ricordato che l’Italia con il D.lgs. 81/2008 aveva ottemperato, dopo procedura di infrazione da parte della Comunità Europea, all’accordo europeo del 8/10/2004. Tale d.lgs. ha specificatamente individuato che il rischio da lavoro-correlato deve essere oggetto di valutazione e di gestione al pari di tutti gli altri rischi presenti sul luogo di lavoro. La Commissione Consultiva permanente per la sicurezza e la salute del lavoro ha emanato, il 17/11/2011 le indicazioni necessarie alla valutazione del rischio stress lavoro-correlato sotto forma di un “percorso metodologico che rappresenta il livello minimo di attuazione dell’obbligo…per tutti i datori di lavoro pubblici e privati” con l’obbligo di valutare il livello dello stress lavoro correlato di tutti i lavoratori. La cosa “interessante”, molto … italiana, è che sia il D.lgs. 81/2008 sia le indicazioni della Commissione Consultiva pur indicando l’obbligo di valutare i rischi dello stress lavoro correlato non indicano una sanzione per la mancata attuazione di questo obbligo. In sostanza.”Lo dovete fare, ma se non lo fate non succede nulla”
In pratica, come spesso accade, al mancato impegno della classe politica segue l’intervento della magistratura.
Chiudiamo con una nota lieve: ricordate la pubblicità dell’Alpitour che diceva “turista fai da te? No Alpitour? Ahi ahi ahi ahi”. Potremmo dire “direttore sanitario fai da te? Direttore generale fai da te?No protocolli per il burnout? Ahi ahi ahi ahi.
Peccato sarebbe bastato un po’ di Mindfulness!!