
Mi sembra di osservare un’accelerata convergenza tra le visioni di molte tradizioni spirituali e le intuizioni della psicoterapia più moderna; soprattutto per un progressivo avvicinamento di quest’ultima a temi da sempre sviluppati dalle diverse tradizioni spirituali. Faccio questa affermazione da un punto di osservazione strettamente laico in quanto ritengo che spiritualità e psicoterapia abbiano sì ambiti diversi ma anche che i loro percorsi siano destinati inevitabilmente a incrociarsi, sovrapporsi e, in qualche misura, ad autofecondarsi non solo da un punto di vista teorico ma anche clinico
Un caso emblematico è rappresentato dalla compassione; anche se potremmo estendere il nostro ragionamento ad altri costrutti psicologici come il distacco o l’idea di accettazione.
Prima di addentrarci, però, in questo avvicinamento tra tradizioni spirituali e psicologia, penso sia interessante almeno accennare ad un aspetto strettamente legato alla compassione. Mi riferisco al concetto di “inter-essere” che potremmo anche chiamare interconnessione. Il termine di inter-essere (interbeing) è stato creato dal monaco buddhista Thích Nhất Hạnh che cercava di rendere comprensibile per gli occidentali il concetto buddhista di “origine dipendente” o condizionata dandone, però, una lettura poetica ed esistenziale. Sentiamo lo stesso monaco vietnamita come lo spiega: “Quando guardi un foglio di carta, se guardi in profondità, puoi vedere: il sole e la pioggia che hanno fatto crescere l’albero da cui un boscaiolo ha tagliato la legna da cui è stato tratto il materiale da cui è stato prodotto il foglio di carta; ma c’è di più. Nel foglio ci sono anche il tempo e lo spazio in cui l’albero è cresciuto e tu che stai guardando il foglio su cui ci sono cose che forse cambieranno la tua visione del mondo” Quindi il foglio “inter-è” con tutto l’universo; questo si aggiunga che mancando uno qualunque dei vari elementi il foglio non ci sarebbe! Merito di Thich Nhat Hanh è stato, a mio modo di vedere, soprattutto di avere allargato questo concetto teorico alle persone: al di là delle nostre idee e percezioni che ci fanno sentire come esseri separati siamo invece strettamente legati e connessi gli uni agli altri. Diverse figure religiose cristiane hanno approfondito questo tema sebbene con accenti e sottolineature diverse. È il caso dei teologi R. Panikkar e Bonnhoffer, luterano e di T. Merton trappista .Questo concetto lo troviamo nel libro “Nessun uomo è un’isola” pubblicato da quest’ultimo nel 1955 che riprendeva una meditazione del pastore anglicano inglese J. Donne morto nel 1691 che nello stesso testo scriveva“Non chiederti per chi suona la campana, perché suona per te“. In questo caso si riferiva al suono delle campane a morto in cui la morte di uno sconosciuto mi colpisce in quanto appartenenti entrambi all’Umanità. Dunque, qualunque cosa, sventura o disgrazia colpisca un essere umano colpisce anche me. Si badi bene, però, che questo non è un concetto esclusivamente religioso, bensì anche psicologico. Concetti affini li troviamo in C. Rogers, fondatore della psicoterapia umanistica, che sostiene che l’uomo si sviluppa nella relazione con l’altro e che la connessione è alla base della guarigione. Concetto analogo in D. Siegel, fondatore della neurobiologia interpersonale che sostiene che la mente nasce dalle relazioni e ha creato il termine MWe (Me + We / Io + Noi) per illustrare come la mia mente. il mio sé e quello degli altri nascano insieme e solo attraverso questa connessione si possa guarire. Questo solo per illustrare alcuni contributi della psicoterapia più recente senza dimenticare il “vecchio” C. G. Jung che sosteneva che la maturazione psicologica e la guarigione avvengano nel processo di riconoscimento della connessione del mio inconscio con quello collettivo.
Dopo questa necessaria premessa torniamo alla compassione che ha perso, nel tempo, lo spessore che viceversa avrebbe etimologicamente: “soffrire insieme”; diventando al contrario espressione di un certo “buonismo”. Oggi, avere compassione, sembra comportare una certa presunzione di superiorità “ho compassione di te che sei un barbone dunque sono una brava persona” o quanto meno una obbligata “direzione” discendente da me all’altro. Inoltre nell’accezione colloquiale che diamo al termine, la compassione sottende anche un sottile distacco, un tenere l’altro a distanza; “Ho compassione di te ma non voglio essere coinvolto più di tanto!”
Dice invece il monaco buddhista Thich Nhat Hạnh, che la compassione è in certo senso un gradino più alto rispetto alla semplice empatia e aggiunge, con una immagine felice, che la compassione è un verbo transitivo in quanto implica non soltanto il condividere emotivamente una situazione di disagio ma anche farsene carico concretamente. Non a caso uno dei punti qualificanti del Buddhismo è rappresentato dalle “quattro dimore divine”; nel senso che chi “abita” la propria vita con la gentilezza amorevole, la gioia compartecipata, l’equanimità e, appunto, la compassione è come se vivesse tra gli dei in perfetta felicità. Nel Buddhismo Mahayana, inoltre, centrale è la figura della persona “illuminata” che rifiuta di accedere al Nirvana per continuare ad aiutare gli altri ad alleviare la loro sofferenza.
Spostando lo sguardo verso il Cristianesimo, anch’esso fa della compassione un aspetto fondante. Potremmo dire che la figura di Gesù Cristo è la personificazione della compassione, dato il suo esercizio continuo nei confronti di sventurati, peccatori, poveri, etc. Come esempio concreto basterebbe far riferimento alla famosa parabola del buon samaritano che si imbatte in una persona aggredita e derubata dopo che erano passate due altre persone che non erano intervenute. Questa viene soccorsa, medicata e le viene pagata la retta per stare in un ostello fino alla perfetta guarigione. Mi sembra che questa parabola ci offra alcune interessanti prospettive:
- Due persone erano passate prima del samaritano: un sacerdote e un levita, persone da cui ci si aspetterebbe un comportamento compassionevole in quanto osservanti della Legge morale ma che invece non fanno nulla e proseguono il loro cammino
- Comportamento caritatevole tenuto viceversa dal samaritano che non si domanda il ferito chi sia, “se è dei nostri”, a che religione appartenga; piuttosto si attiva per alleviare le sofferenza dell’altro.
- Da notare che i Samaritani non erano ben visti dagli ebrei, da cui li separavano aspetti cultuali e religiosi, che li facevano ritenere impuri ed eretici; sostanzialmente persone poco raccomandabili.
- Da questa parabola discende l’idea che la compassione non appartenga ad una particolare religione ma sia una carattere distintivo dell’essere umano che prescinde da ogni altra caratterializzazione o distinzione
Discorso analogo può essere fatto per l’Islam, soprattutto nel Sufismo che rappresenta la versione mistica di questa religione.
Da quanto abbiamo detto appare evidente come Cristianesimo e Buddhismo da molti secoli abbiano posto la compassione come punto centrale della visione dell’uomo nella sua ricerca di salvezza. Cosa ha detto, invece, la psicoterapia o la psicologia in genere sull’argomento? Diciamo che fino a circa 20/30 anni fa la compassione era vista come aspetto marginale che atteneva più alla sfera personale etico-morale senza grandi influenze sulla applicazione clinica. Freud ne parla poco e spesso in modo negativo definendolo come sublimazione, ossia un meccanismo di difesa dell’Io. Jung insiste sul rispetto e empatia necessarie da parte del terapeuta e vede l’amore, inteso come apertura e disponibilità, un motore di guarigione. È interessante notare che per Jung la compassione verso le parti rifiutate di sé, che lui chiama “ombra”, siano alla base del processo di guarigione e torneremo nella 2° parte di questo articolo su questo aspetto fondamentale della compassione.
Abbiamo parlato prima di 20/30 anni dato che è da quel momento che le neuroscienze hanno cambiato la nostra comprensione del cervello e della mente portando aspetti ritenuti marginali, come la compassione, sotto la lente d’ingrandimento di mezzi di indagine estremamente sofisticati come la fRNM, PET, EEG ad alta definizione etc. Tutti gli studi che via via sono stati fatti su questo tema specifico ne hanno rilevato la grande importanza in relazione al benessere psicologico e alla psicoterapia. Si sono viste come l’empatia e la compassione attivino aree cerebrali diverse, come quest’ultima possa essere la base di una psicoterapia, etc.
Ma di questo parleremo nella seconda parte….. a presto