
Innanzi tutto voglio ringraziare quanti mi hanno scritto con commenti e richiesta di approfondimenti, in relazione agli argomenti che ho trattato negli ultimi 3 post e che qui riporto per comodità. Soprattutto in quanto mi permette di ritornare su questi temi da una prospettiva diversa.
COMPASSIONE E INTER-ESSERE TRA SPIRITUALITÀ E PSICOLOGIA: AVEVANO RAGIONE IL BUDDHA E IL VANGELO. (1° parte) link
COMPASSIONE E NEURO SCIENZE TRA SPIRITUALITÀ E PSICOLOGIA: AVEVANO RAGIONE IL BUDDHA E IL VANGELO. (2° parte) link
COMPASSIONE E AUTO COMPASSIONE – PERCHÉ SÌ … MA IO QUANTO SONO COMPASSIONEVOLE? (TEST) 3° parte link
Eccoli divisi per argomenti
AUTOSTIMA E AUTO-COMPASSIONE
Alcune persone mi hanno chiesto di approfondire i rapporti tra autostima e auto compassione, in quanto per alcuni sembrerebbero sinonimi. In effetti, sebbene auto compassione e autostima si siano confermati importanti per il benessere psicologico, esse presentano caratteristiche diverse. Innanzi tutto il nostro livello di autostima ha come base la valutazione o il valore che noi diamo di noi stessi, alle nostre capacità professionali etc in funzione di standard esterni. Ciò comporta che, paradossalmente, il centro non siamo noi ma la nostra relazione con una qualche “asticella” esterna che sia il giudizio degli altri su di noi o il confronto con i comportamenti altrui, etc. Questo ha alcuni “effetti collaterali”: ci espone a rischi concreti del senso di superiorità o addirittura al narcisismo o viceversa al senso di inferiorità (“Tutti valgono più di me”, se autostima bassa). In tutti i casi sarà facile osservare un continuo confronto con l’ambiente esterno; accompagnato nel primo caso da ridotta resilienza nei confronti degli insuccessi o di eventi emotivamente impattanti, nel secondo caso un continuo rimuginare sul mio disvalore.
Della auto compassione abbiamo già abbondantemente parlato. Qui mi interessa approfondire i rapporti tra questi due costrutti psicologici. Eccole in sintesi. L’auto compassione:
- Non è legata a fattori esterni ma è centrata sull’atteggiamento amorevole nei nostri stessi confronti.
- Appare più stabile nel tempo per migliori e più efficaci strategie nell’affrontare ad eventi negativi o senso di inadeguatezza
- Confermato i suoi effetti protettivi in termine di benessere psicologici nei casi di bassa autostima
ANCORA SULL’INTER-ESSERE
Probabilmente il tema che ha suscitato più interesse. Vorrei partire da questa frase (non è uno scioglilingua…) “Umuntu ngumuntu ngabantu.”
Questa frase in lingua bantu, con accenni diversi nelle diverse culture dell’Africa sub sahariana, può essere tradotto con “io sono una persona perché (nella misura in cui) gli altri sono persone”. Lo stesso concetto, come abbiamo visto, è presente, seppure con sfumature diverse nelle principali tradizioni spirituali: Islam, Buddhismo e Cristianesimo. Anzi potremmo dire che il concetto di inter-essere, o se volete inter-connessione, è tratto dominante nelle culture mondiali. contrariamente al senso individualista che è presente solo nella nostra società occidentale o nei paesi occidentalizzati. Alla base della frase che abbiamo riportato c’è il concetto di Ubuntu che incorpora anche i significati di solidarietà e cooperazione. È evidente che se facciamo nostra questa prospettiva la mia realizzazione può avvenire solo se agli altri viene data la stessa possibilità, e il mio benessere non può essere sganciato da quello degli altri.
Si badi bene che questo concetto non soltanto ha un valore spirituale o filosofico ma ha anche un profondo significato politico. È stato attraverso questa idea che il vescovo anglicano Desmond Tutu e Nelson Mandela, inserendo anche il concetto di perdono, riuscirono a evitare che la fine dell’apartheid in Sud Africa terminasse in un bagno di sangue. Possiamo dunque vedere che il concetto di inter-essere travalichi i confini della semplice visione spirituale allargandosi agli aspetti politici e sociali.
A PROPOSITO DELLE RELIGIONI E DELLA COMPASSIONE
Mi è stato giustamente fatto notare che la compassione sembrerebbe una “pia illusione” dato che, anche attualmente, il mondo sia attraversato da molte guerre spesso “dimenticate”: nei nostri quotidiani non ne troviamo traccia. Diciamo subito che la definizione di guerra è conflitto armato con almeno 1000 morti/anno (qui). Sulla base dell’articolo appena citato, nel 2024 ci sono stati 61 conflitti armati di cui 11 possono essere qualificate come “guerre”. Si tratta del più alto numero di conflitti dal 1947. Ecco alcuni fatti pubblicati dal Global Peace Index 2025 (qui).
- La pace globale è a livello più basso dalla fine della 2° guerra mondiale
- La pace globale è progressivamente peggiorata dal 2014 con oltre 100 paesi coinvolti
- Nel 2024 ci sono stati oltre 152.000 morti
- In 17 paesi si è assistito a guerre civili con oltre 1000 morti
- I conflitti sono diventati sempre più internazionalizzati con 78 paesi coinvolti in conflitti oltre le proprie frontiere
- Costo dei conflitti armati 20.000 miliardi di $ pari al 11.6% del PIL mondiale
- Costo in armamenti in 2.700 miliardi di $
Questi dati confermano che la percezione dell’inter-essere non sembra abbia grande successo …
Giustamente mi viene fatto notare come sia evidente che le religioni siano coinvolte nella genesi e nella prosecuzione delle attività belliche. Piccola premessa prima di esemplificarne diverse: non è mia intenzione prendere le parti di una o dell’altra parte dei vari eventi bellici; anche se posso avere le mie idee. Quello che voglio illustrare è come le religioni siano implicate in questo fenomeno in modo più o meno evidente. Vediamone alcune:
- Note le persecuzioni fatte nei secoli scorsi dalla Chiesa Cattolica e le guerre di religione che nascondevano a mala pena solo interessi economici o, nella migliore delle ipotesi un fraintendimento profondo del messaggio evangelico.
- L’Arcivescovo Kirill, primate della Chiesa Ortodossa Russa benedice la guerra contro i cristiani ucraini
- l Primo Ministro indiano Modi utilizza il nazionalismo hindu come mezzo per dividere hindu e mussulmani
- Il primo Ministro Israeliano Netanyahu utilizza brani della Bibbia per giustificare la repressione nei confronti dei palestinesi
- Religiosi mussulmani utilizzano il concetto di Jihad per giustificare le violenze verso i non mussulmani. La conferma l’abbiamo dall’osservazione, sempre del già citato articolo indipendente, che per il 10° anno consecutivo il gruppo terroristico islamista ISIS è stato il principale “attore” , nel 2024, delle uccisione di civili con circa 3,800, quasi tutti nella Repubblica Democratica del Congo. Interessante che nel Corano, libro sacro dell’Islam, con Jihad si intende in primo luogo la lotta interiore e l’aderenza ai dettami religiosi.
- In Sri Lanka i buddhisti sono impegnati in violenze contro i mussulmani … alla faccia della compassione punto centrale, come abbiamo già visto, dell’insegnamento buddhista alla riduzione della sofferenza
Con questo non si vuole demonizzare le religioni in quanto tali ma piuttosto coloro che utilizzano le religioni per scopi di potere o economici. D’altra parte la Storia è piena di persone che hanno pagato con la vita o in altro modo il loro atteggiamento benevolente.
Oltre a questi dati di osservatori internazionali indipendenti si deve costatare purtroppo un atteggiamento, nelle nostre società occidentali, caratterizzato non solo da mancanza di compassione ma anche dalle più elementari forme di empatia o addirittura di pietà nei confronti di persone, a diverso titolo, in stato di bisogno o in difficoltà. Va peraltro sottolineato come globalmente, appunto, ci siano persone attive e impegnate in vari movimenti che a diverso titolo propongono e attuano un atteggiamento compassionevole.
Questi i fatti e allora?
Personalmente trovo molto frustrante osservare questa realtà e percepire l’impossibilità di incidere su questi fenomeni. Ora, data questa evidente impossibilità di intervenire singolarmente a livello globale, non resta che applicare ad un atteggiamento compassionevole, il motto delle ONG (Pensa globalmente agisci localmente) e citare il concetto espresso da Thich Nath Hahn: dobbiamo applicare noi per primi la compassione con la sua intrinseca motivazione ad aiutare gli altri con i conseguenti effetti positivi sul nostro benessere. Della serie ” Se non volete farlo per gli altri, fatelo per voi stessi!!
Questo atteggiamento dovrebbe essere accompagnato da un’attenta consapevolezza dei messaggi che ci arrivano dai mezzi di comunicazione di massa, a volte vere e proprie casse di risonanza di posizioni politiche e soprattutto … sperare nell’effetto battito di farfalla che crea un uragano.
Questa metafora è stata creata dal meteorologo E. Lorenz nel 1962 che in una conferenza tenuta anni dopo nel 1972, scriveva “Può il battere di ali di una farfalla in Brasile provocare un tornado in Texas?”. E la risposta è stata si!. Può sembrare una battuta ma fa parte della teoria del caos, in cui si preconizza che minimi cambiamenti possano determinare enormi conseguenze a distanza di tempo e di spazio.
Viva le farfalle!