Fresco, fresco…lo stress cronico aumenta il rischio di infarto (The Lancet Jan 2017), e la Mindfulness?

Diceva un mio professore ai tempi dell’università, sbagliando, ” i medici quando non sanno fare una diagnosi danno la colpa allo stress”: segno di una vecchia mentalità che riteneva che gli effetti dello stress  fossero espressione di mancanza di “spina dorsale”. Oggi, viceversa, sappiamo che lo stress, soprattutto se prolungato, entra a pieno diritto in quello che, parafrasando la definizione sui tumori più pericolosi,  gli anglosassoni chiamano i “Big killer” al pari della cattiva alimentazione, la vita sedentaria, e l’eccessivo uso di sostanze voluttuarie come tabacco e alcool. E che la nostra società sia estremamente stressante non è una novità essendo sotto gli occhi di tutti: eccessiva competitività, eccessivi carichi di lavoro, insicurezza del posto di lavoro, stile di vita, tanto per citarne solo alcuni.

Le ricerche di Nabi (2013), di Fagundes (2013),   Lagraauw (2015) e soprattutto quella di Rosengren su oltre 24.00 persone in 52 paesi (2004) avevano già messo in evidenza che lo stress, soprattutto cronico, rappresenta uno dei maggiori fattori di rischio per l’insorgenza di problemi cardiovascolari come ipertensione e infarto. Addirittura più del fumo.

Rinvio a quanto ho già scritto su stress ed i suoi effetti sul nostro organismo qui:

Secondo gli studi condotti per fare luce sugli effetti dei protocolli basati sulla Mindfulness, il principale punto è rappresentato dall’Amigdala. Abbiamo già evidenziato in questa sezione qui  i dati scientifici che evidenziano come queste piccole strutture cerebrali siano le responsabili della risposta allo stress. L’amigdala, una volta realizzata la presenza di una minaccia o, più genericamente, di una situazione che comporti la necessità di attivazione di una risposta di fuga o combattimento, attiverà una serie di misure che coinvolgeranno a diverso titolo tutto il nostro corpo.

Un recentissimo lavoro pubblicato dalla prestigiosa rivista scientifica The Lancet ha messo in luce i meccanismi che legano attività dell’amigdala e rischi di aumentato danno cardiovascolare nei soggetti che subiscono uno stress cronico. Pochi giorni fa, infatti, Tawakol e collaboratori hanno pubblicato un raffinato studio (Relation between resting amygdalar activity and cardiovascular events: a longitudinal and cohort study.) che ha confermato le ipotesi fatte precedentemente: le dimensioni dell’amigdala, e dunque l’attività di questa ghiandola, sono strettamente legati agli effetti descritti, e direttamente collegati al rischio cardiovascolare.  Merito di questo studio è stato quello di chiarire i due meccanismi coinvolti. Il primo va ricercato nell’attivazione del midollo osseo, sede della formazione dei globuli bianchi, rossi e delle piastrine, che comporterà sia un aumento di questi che una loro maggiore attività.  Il secondo meccanismo, l’attivazione di fenomeni infiammatori della parte delle piccole arterie, insieme al primo determineranno sinergicamente una lesione della parte arteriosa e la formazione della placca ateromatosa al suo interno; placca che sta alla base della occlusione delle arterie, momento principale della lesione cardiaca. Tawakol e collaboratori hanno condotto uno studio su 293 pazienti dall’età media di 55 anni  e li hanno osservati per circa 4 anni, 22 dei quali presentarono un problema cardiaco. L’attività dell’amigdala era, strettamente e in modo statisticamente significativo, associata in questi soggetti all’attività del midollo osseo e all’infiammazione arteriosa raddoppiando il rischio di eventi cardiovascolari. Non solo, ma si è dimostrata anche la relazione tra PCR (Proteina C Reattiva), sostanza che aumenta nei casi di infiammazione e l’attività dell’amigdala portando un ulteriore prova del legame tra quest’ultima e i fenomeni infiammatori vascolari.

C’è tuttavia un ulteriore aspetto che mi sembra particolarmente significativo. Il lavoro di Tawakol ha segnalato come l’attività dell’amigdala, e i relativi danni provocati,  siano strettamente correlati anche alla percezione soggettiva dello stress. Anche lo stress percepito, dunque, determina un danno vascolare. Nel diagramma di lato sono stati messi in relazione stress percepito e lunghezza del telomero di cui abbiamo già parlato già in precedenza. E questo chiuderebbe il cerchio, fornendo un ulteriore elemento .

Il rilievo dato alla percezione soggettiva delle condizioni che determinano stress ha ripercussioni importanti sulla nostra vita dato che sposta l’attenzione dallo causa dello stress al nostro modo personale di confrontarci con le cose che lo determinano.

Abitualmente tutti noi pensiamo “Ah potessi vivere in un isola dei Caraibi (lasciando i problemi in Italia)” oppure “Potessi vincere al Superenalotto (per togliermi qualche soddisfazione con il mio superiore)” e con questi desideri portiamo l’attenzione all’eliminazione della causa dello stress, vale a dire dello stressor. In realtà, che siamo ai Caraibi o abbiamo vinto il Superenalotto, lo stress, in quanto ingrediente nel nostro panorama psicologico, sarà sempre presente nella nostra vita, ci sarà sempre un motivo per essere stressati ; se poi non viviamo ai Caraibi e non abbiamo vinto, beh allora …. ancor di più.

In effetti, l’operazione che dovremmo mettere in campo, più realisticamente, è quella di porre attenzione alla nostra maniera di affrontare le varie situazioni che determinano fastidio, rabbia o sofferenza psicologica o fisica. Detto in altre parole, il centro del problema siamo noi e non cause esterne ed è su di noi che dobbiamo lavorare per minimizzare gli effetti negativi dello stress.

Abbiamo molti modi di ridurre gli effetti dello stress: per qualcuno può essere andare a correre, per altri il giocare a tennis, per altri ancora dedicarsi ad un hobby, per altri infine immergersi nella natura. Tutti questi metodi si basano sulla riduzione degli effetti ottenuta attraverso lo spostamento dell’attenzione dal problema ad un’altra attività. I protocolli basati sulla Mindfulness vanno, invece, nella direzione opposta: guardare in faccia “il problema” che ci da sofferenza o malessere, abbracciarlo per usare un termine usato da tanti maestri orientali. Vedere cosa succede alla nostra mente quando percepiamo quello che ci da fastidio o ci fa soffrire, sentire quali emozioni si agitano dentro di noi: questo è abbracciare. E abbracciare vuol dire farlo nostro, accettarlo eliminando  ogni traccia di avversione. Questo perché la fatica che facciamo per evitare e  allontanare le esperienze negative, il rimugginio continuo sulla nostra vita o sui nostri problemi dando corpo e realtà a quelli che sono solo nostri pensieri, il passare inquieto della mente senza sosta dalla paura del futuro ai rimpianti del passato, (la cosiddetta “mente scimmia” degli orientali) sono I veri costituenti della sofferenza. Elementi che ci impediscono di vivere il qui e oggi, il momento attuale che è l’unica vita che abbiamo a disposizione. Dice un famoso detto orientale, ” Il dolore è inevitabile, la sofferenza opzionale”.

C’è un racconto che può essere istruttivo a questo proposito.

Un uomo venne colpito da una freccia e tutti gli amici gli si avvicinarono per toglierla. Al che il poveretto disse: “Non mi toccate!! Prima di togliermela voglio sapere il nome di chi l’ha scoccata e perché, da che distanza l’ha lanciata, se l’ha fatta lui, se non l’ha fatta lui dove l’ha comprata e quanto è costata, di che materiale è fatta. Voglio sapere tutto” e ovviamente dopo poco morì.

La Mindfulness si pone come obbiettivo quello di insegnarci a vivere momento per momento. Vivere in modo mindful, cioè con consapevolezza, vuol dire vivere  tutte le situazioni che la vita ci pone di fronte, belle o brutte, piacevoli e spiacevoli che siano .

In fondo il segreto per vivere senza stress è vivere con consapevolezza.

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