La scimmia, la noce di cocco, il maestro Hakuin e scissioni in atto

Dato che mi è stato chiesto, espressamente,  di coniugare Mindfulness e scissione del PD, impresa apparentemente titanica, vorrei partire da tre racconti, gli ultimi due del buddismo zen, buddismo da cui la Mindfulness trae ispirazione e di cui rappresenta la versione laica. Il primo:  è la storia, di cui peraltro non so la veridicità, sulla tecnica usata in India per catturare le scimmie. Si pratica un foro in una noce di cocco legata a una catena, abbastanza grande per fare entrare la mano aperta della scimmia ma nello stesso tempo abbastanza piccola per impedire che il pugno chiuso possa uscire. Al suo interno viene posta una banana che la scimmia afferra ma non riesce a tirarla fuori per la strettezza del foro. Nonostante i tentativi effettuati o la scimmia lascia la banana estrae la mano e scappa oppure viene catturata.

Il secondo, tratto da “101 storie zen” pubblicato da Adelphi: Il maestro Hakuin era decantato per la purezza della sua vita. Accanto a lui abitava una bella ragazza giapponese, i cui genitori avevano un negozio di alimentari. Un giorno, come un fulmine a ciel sereno, i genitori scoprirono che era incinta. La cosa mandò i genitori su tutte le furie. La ragazza non voleva confessare chi fosse l’uomo, ma quando non ne potevo più di tutte quelle insistenze, finì col dire che era stato Hakuin. I genitori furibondi andarono dal maestro. “Ah, si?” disse lui come tutta risposta. Quando il bambino nacque, lo portarono da Hakuin. Ormai lui aveva perso la reputazione, cosa che lo lasciava indifferente, ma si occupò del bambino con grande sollecitudine. Si procurava dai vicini il latte e tutto quello che occorreva al piccolo. Dopo un anno la ragazza non resistette più. Disse ai genitori la verità: il vero padre del bambino era un giovanotto che lavorava al mercato del pesce. I genitori della ragazza andarono subito da Hakuin a chiedergli perdono, a fargli tutte le loro scuse e a riprendersi il bambino. Hakuin non fece obiezioni. Nel cedere il bambino, tutto quello che disse fu: “Ah si?”.

Il terzo recita: un giovane monaco andò dal suo maestro e disse: “Sto così male! Non riesco a meditare, sono pieno di dolori e soffro di insonnia” al che il maestro disse”Passerà”. Dopo alcune settimane il giovane monaco ritornò e disse ” Adesso sto veramente bene! Riesco a essere concentrato, la mia vita è così piena di gioia e mi sento così vivo! ” Il maestro commentò “Passerà”. 

Questi tre racconti, che cito sempre nei miei corsi, mettono in luce tre aspetti importanti nella Mindfulness vediamoli: il primo è una metafora sul funzionamento della nostra mente e spiega cosa succede quando che ci “attacchiamo” a qualcosa o a qualcuno: rimaniamo intrappolati e catturabili. L’unica strategia possibile è quella del lasciare andare; non a caso nel termine “Sati”, parola in lingua Pali da cui deriva il termine Mindfulness, ha anche sotteso il senso del lasciare andare. Questo concetto del distacco, come mezzo e strategia di libertà,  è d’altra parte presente anche in tanta mistica cristiana tedesca del 13° secolo, come Meister Eckart, Taulero, Suso, Porete etc. Il secondo si riferisce a quello che viene definito mente di principiante o, potremmo dire noi, mente di bambino. Ed è l’attitudine ad osservare lo svolgersi dell’esperienza in modo non giudicante: come se fossimo dei bambini che camminano per la prima volta o imparano un nuovo gioco. Sono talmente concentrati su quello che stanno facendo da tralasciare tutto il resto e soprattutto evitano di dare delle etichette all’esperienza. Il  terzo racconto indica la consapevolezza del mondo che continuamente cambia: noi cambiamo, gli altri cambiano, da bambini diventiamo adulti e poi vecchi, il nostro corpo ogni 20 anni ha completamente sostituito le molecole che lo compongono, anche le condizioni meteo cambiano in continuazione come dicono i marinai nessun tempo è così brutto da durare in eterno, nessun tempo è così bello da durare in eterno, la società cambia, i rapporti interpersonali cambiano. Anche il successo, economico o sociale che sia,  è destinato a modificarsi. Tutto questo indica la necessità di mantenersi flessibili e capaci di trovare nuove soluzioni ai cambiamenti che si verificano nelle nostre vite. Solo accettando i cambiamenti saremo in grado di trovare nuove soluzioni e nuovi e migliori adattamenti.

E veniamo al punto da cui eravamo partiti: la scissione del PD.

Diciamo subito che le scissioni fanno parte del DNA del PD, come d’altra parte per molti movimenti e partiti, dato che non è la prima volta che il maggior movimento della sinistra italiana va incontro a scissioni, a cambiamenti di assetto e a unificazioni. Il primo episodio risale al 1921 quando, su pressione di Bucharin e Lenin, si forma il Partito Comunista d’Italia nato dalla scissione dal Partito Socialista. Tale denominazione resterà dal 1943 fino al 1991 quando su accelerazione di Occhetto si assiste alla rottura del PCI in due tronconi: Partito Democratico della Sinistra e Partito della Rifondazione Comunista. Il Partito Democratico della Sinistra diventerà nel 2007 Partito Democratico con la confluenza di altre forze di sinistra e della Margherita.

Come si vede, dunque, è una storia in cui momenti di unificazione si sono alternati a momenti di rottura e scissione. Quello in atto non sarebbe che l’ennesimo episodio di una storia che dura da quasi un secolo.

Ma vediamo quello in atto alla luce dei tre racconti precedenti:

Il racconto della tecnica di cattura della scimmia è una bella metafora della necessità di lasciare la presa quando si corre il rischio di essere catturati. La politica è una forma alta di servizio alla comunità, in cui persone si dedicano al bene comune non per prestigio, potere, o ancor meno per dare un senso alla propria vita ma piuttosto per rendere reale e concreta una visione di società e di futuro. Parlo non dal punto di vista del partito, che è un contenitore di uomini e donne, ma da quello della singola persona e del singolo leader. E cosa è la cattura per un leader politico se non il volere continuare a essere un punto di riferimento, contro tutto e contro tutti?  Voler continuare ruolo di referente quando una stagione è ormai giunta alla sua conclusione? Cattura vuol dire fare la parte del giocatore che porta via il pallone quando non lo fanno più giocare. Cattura è restare intrappolati nel ruolo senza capire che ci sono altre partite da giocare, una vita diversa da vivere, e nuove sfide da accettare. E ci sono tanti nel PD attuale che rischiano di restare con la mano intrappolata nella noce di cocco.

Il racconto della storia del maestro Hakuin ci da la misura di quanto sia importante vivere alla luce della sorpresa e della mancanza di giudizio. Accettare senza pregiudizi, nel senso letterale di giudizi preventivi, vuol dire prendere la realtà e la vita per quello che sono, senza pretendere che le cose vadano esattamente come vorremmo. Vuol dire “abitare” quello spazio che sta tra la presa di coscienza della realtà e la risposta operativa che ad essa diamo. E’ in questo spazio che possiamo trovare i giusti comportamenti e le giuste risposte da dare: imparare a rispondere e non a reagire. Abitare quello spazio ci permette di avere una lucida consapevolezza di quello che sta succedendo, degli effetti a breve e lungo termine, e di mettere in atto la migliore risposta e non la reazione più rapida.”Ah si?” non è la tacita e supina acquiescenza alla realtà ma il mezzo per realizzare il cambiamento.

Il racconto del giovane monaco ci ricorda che il cambiamento è nell’ordine delle cose, inevitabile. “Passerà” dice il maestro ed è normale che passi anche una particolare visione politica, al di là delle responsabilità della frattura.  Ci ricorda la necessità di accettare il cambiamento anche  del panorama  politico, così come accettiamo il mutare del panorama meteorologico. E questa accettazione è il prerequisito necessario per trovare  nuove soluzioni e nuove prospettive di lavoro. Vuol dire, però anche, avere la consapevolezza che solo il cambiamento ci permette di crescere e di evolvere verso uno stato di maggiore completezza. Non accettare il cambiamento vuol dire condannarsi all’immobilismo che è l’anticamera della morte.

Se un partito o un movimento non accetta di cambiare nel momento in cui cambiano le caratteristiche di una società che si vuole interpretare e a cui si vuole proporre una visione di lungo periodo…..beh, allora “Ah si, passerà” può essere un buon viatico. Ricordando che “dobbiamo abituarci all’idea che nei più importanti bivi della nostra vita non c’è alcuna segnaletica” (E. Hemingway)

Quando soffia il vento del cambiamento, alcuni costruiscono muri, altri mulini a vento. (proverbio cinese)

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