L’epigenetica (2). Le colpe dei padri ricadono sui figli? La buona e la cattiva notizia

Nel post precedente abbiamo parlato in generale dell’epigenetica, di come questa sia in grado di spiegare la presenza di disturbi fisici e psichici nella discendenza di soggetti che avevano subito prima del concepimento condizioni avverse; condizioni capaci di determinare modificazioni delle cellule riproduttive, spermatozoi paterni e ovociti materni. La ricerca si è focalizzata sugli effetti, soprattutto, degli ormoni dello stress come il cortisolo, capaci di determinare delle alterazioni, spesso permanenti, a livello delle cellule riproduttive. Come abbiamo già detto in altra parte, in risposta allo stress il nostro organismo produce degli ormoni che se da una parte hanno lo scopo di preparare il nostro corpo a rispondere allo stressor, dall’altra hanno la capacità di determinare delle alterazioni a livello sia fisico sia psichico. Quale è il contributo del padre e della madre?
Vediamoli

Il ruolo materno: Lo studio del ruolo materno nella trasmissione epigenetica delle condizioni di “sofferenza”,  si è dimostrato a volte di difficile interpretazione. Mentre, infatti, sono ben documentati gli effetti sul nascituro dello stress subito dalla madre durante la gravidanza, minori sono i dati sugli effetti dello stress provato dalla donna prima del concepimento. Stante anche la difficoltà di isolare gli effetti dovuti allo stress in gravidanza rispetto alle condizioni precedente il concepimento. Abbiamo comunque dei dati certi che evidenziano, con chiarezza, come alcune condizioni subite dalla madre prima del concepimento siano in grado  di determinare effetti negativi sui futuri neonati e addirittura sui nipoti. Sappiamo cosi che violenze subite dalla madre in età infantile, o un eventuale lutto nell’anno precedente il concepimento, siano condizioni capaci di provocare un alterato sviluppo non solo psichico ma anche fisico della futura prole. Questi dati sono confermati dall’osservazione che figli e nipoti dei sopravvissuti all’Olocausto presentino delle alterazioni epigenetiche con aumento dei casi di alterato sviluppo psichico con maggiore frequenza di malattie mentali e neurologiche. E’ interessante notare che non solo lo stress con tutti i suoi correlati effetti ormonali, ma anche l’uso di sostanze come la cocaina e l’eroina provocherebbero danni che si mantengono almeno nella generazione successiva.

Il ruolo paterno: L’aspetto più studiato dell’epigenetica del ruolo paterno è quello relativo al ruolo del corticosterone e del cortisolo e a come questi ormoni siano determinanti nella predisposizione ai problemi neurologici e psichiatrici. Ancora, la plasticità sinaptica, vale a dire la capacità del Sistema Nervoso di modificare il numero delle aree di contatto tra i neuroni, cosiddette sinapsi, instaurandone di nuove ed eliminandone altre, viene alterata da modificazioni che avvengono a livello degli spermatozoi, e che vengono trasmesse alle generazioni successive.  Questi dati rafforzano l’ipotesi che lo stress vissuto dai maschi possa determinare, nei figli e nei nipoti, alterazioni capaci di alterare la plasticità dei neuroni con conseguente danno a livello delle funzioni cognitive. Diversi studi hanno confermato gli effetti dello stress paterno dovuto a carestie, violenze  e rischio di patologie psichiatriche nei discendenti. Ad esempio i figli diventati adulti degli uomini sopravvissuti all’Olocausto presentano alterazioni epigenetiche, episodi di depressione maggiore con rischi suicidari a livello  statisticamente significativo. E’ da sottolineare come in diversi casi il concepimento sia avvenuto decine di anni dopo l’Olocausto. Questo conferma che le alterazioni degli spermatozoi perdurano negli anni, potendosi trasmettere alle generazioni future anni dopo la fine dell’episodio stressante. Una ulteriore conferma ci viene da esperimenti animali. Nell’allevamento della prole dei roditori, ad esempio, la presenza del maschio non è importante. Si è così visto che allontanando il maschio che ha subito stress immediatamente dopo il concepimento, al fine di evitare comportamenti che potessero alterare il rapporto madre/figlio, si poteva studiare gli effetti paterni sulla prole. Si è potuto così confermare gli effetti esclusivamente paterni sulla prevalenza di disturbi del comportamento della prole. Lo sperma paterno, alterato dallo stress, può trasmettere informazioni sullo stress subito dal padre alle generazioni successive, modificandone lo sviluppo.

Una volta accertato che lo stress determina alterazioni a livello delle cellule riproduttive, quale è il meccanismo attraverso cui lo stress del genitore determina un comportamento a volte patologico nella prole?

Come abbiamo accennato nel precedente post le esperienze negative determinano delle modificazioni nelle cellule riproduttive dove viene alterata la capacità di espressione dei geni. Questa, a sua volta, passerà nei figli. Nel 2010 è stato pubblicato uno studio di Tie-Yuan Zhang della McGill University, che studiando i cervelli di pazienti schizofrenici  deceduti ha potuto verificare come fosse alterata la produzione di un neurotrasmettitore  e che questa fosse dovuta a una trasmissione epigenetica. Questi cambiamenti epigenetici causano disfunzioni neurali e possono portare a psicopatologie incluse la schizofrenia e la depressione anche in età adulta.

Come dobbiamo interpretare queste alterazioni? Che significato e finalità hanno?

Prendiamo il fatto già descritto nel precedente post della carestia  avvenuta in Olanda nel 1944. Come abbiamo visto, la forte riduzione calorica ha determinato nelle proprie cellule riproduttive delle modificazioni che permettevano ai propri nei figli e nipoti di resistere meglio alla carestia; tuttavia, una volta che questa si è risolta, i figli concepiti successivamente, hanno sviluppato il rischio di sviluppare condizioni come il diabete, l’ipertensione e l’obesità. In sostanza possiamo dire che quello che funzionava con una ridotta alimentazione, quando questa scompare, è la causa delle malattie che si sono poi verificate. La finalità di queste modificazioni è, dunque, quella di preparare la prole ad un ambiente sfavorevole, uguale a quello vissuto dai propri genitori e nonni; come se l’ambiente non dovesse modificarsi in futuro. E’ possibile, comunque, fare il percorso inverso: modificare l’espressione dei geni mettendo in atto attività che li riportino in equilibrio. Così si può ridurre il rischio di diabete e di ipertensione , ad esempio, con l’attività fisica; non solo perché si oppone all’azione di geni alterati, ma soprattutto perché riattiva geni bloccati e/o blocca funzionamento di geni che dovrebbero essere inattivi. Esempi analoghi potrebbero essere fatti per lo stress psicologico.

Da tutte queste considerazioni emergono una cattiva e più buone notizie.

La cattiva è che, non solo in senso lato, dobbiamo portare il carico che ci arriva dai nostri genitori e dei nostri nonni.

Le buone sono che:

  1. Forse, in un non lontano futuro, potranno essere studiate le contromisure adatte a annullare gli effetti della trasmissione di alterazioni geniche causa di malattie.
  2. Trattandosi di espressione di geni e non di mutazioni è possibile fin da ora, come abbiamo detto poche righe fa, invertire il processo. Se riusciamo a “svelare” la storia che ci viene dai nostri genitori e nonni e che è iscritta nelle nostre cellule possiamo operare  dando un segnale opposto a quello che ha creato il “problema” e tentare di riequilibrare i messaggi dei geni stessi. Biologicamente, mettere in atto comportamenti capaci di contrastare quanto epigeneticamente in noi determinato può ridurre o addirittura impedire il verificarsi di effetti negativi legati alla attivazione o blocco dei geni. Pensiamo agli effetti dell’attività fisica in termini di prevenzione del diabete e delle malattie cardiovascolari.
  3. Psicologicamente, eventuali “cicatrici” di antiche sofferenze dei nostri progenitori possono essere cancellate. Sanarle vuol dire interrompere la catena di eventi capaci di determinare sofferenza dei nostri figli e nipoti. Sanarle vuol dire, ancora, annullare quello che gli orientali chiamano Karma. Abbiamo in questo senso una grande responsabilità. Così se una condizione di “sofferenza” viene sanata, ad esempio, attraverso una psicoterapia o attraverso un percorso di consapevolezza come la Mindfulness o altre tecniche non solo il nostro corpo ma anche la nostra mente potranno scrollarsi di dosso questa forma di “peccato originale” iscritto nei nostri geni. Mai come oggi ci rendiamo conto che mente e corpo non sono affatto così lontani come sembrano.

Forse non sarà sempre facile, ma è sicuramente possibile. Se non altro, vale la pena provarci.

In fondo non siamo altro che una eterna danza tra geni e ambiente, tra ineluttabilità e cambiamento (M. Friedman)

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